sabato 17 dicembre 2011

DIVISE A SCUOLA? UN PARERE


http://www.repubblica.it/scuola/2011/12/17/news/divisa_scolastica-26731745/


Io credo che questo argomento sia più importante di quanto sembri ed è delicato. Storicamente le divise a scuola ci riportano all'epoca fascista e in generale presessantottina. La forza del collettivo, la comunità in cui sublima l'individuo. Giovanni Gentile. Quest'argomentazione lascia tuttavia il tempo che trova, dobbiamo confrontarci con problemi nuovi. "L'anarchia indecente" tra gli adolescenti di cui parlano alcuni, dipende certamente da molti fattori, ma non credo che sia necessaria la divisa per limitare scollature o quant'altro. Basta il buon senso dei Presidi per far capire che la Scuola non è un luogo dove fare spettacolo di sè stessi. Circa la questione delle diverse possibilità economiche, credo tuttavia che sia un pò riduttivo pensare che le differenze tra gli alunni vengano meno per via di una divisa. La comunità dei ragazzi non è solo scuola, e la rete, è fb, sono i luoghi di ritrovo. Le differenze vengono sempre fuori, basta uscire da scuola con la divisa e chiedersi che "fanno i tuoi", "che fai stasera". Basta parlare insomma. Tant'è vero, come dicevamo prima, che le divise furono introdotte per altri motivi. Credo invece che il senso di appartenenza vada tutelato, più che con una divisa, con la qualità del tempo che si passa a Scuola e con l'investimento nella credibilità dell'Istituzione, oltre che con la promozione di momenti di confronto interscolastici, sportivi, culturali e di altro tipo. E' chiaro che, la cosa che mi da più fastidio nell'articolo pubblicato da Repubblica, vista la situazione attuale della Scuola Pubblica, è che sia un privato a finanziare, in una singola scuola, l'adozione della divisa. E non si capisce bene a che pro. Si comprende bene allora, o tutti o nessuno. Tuttavia, in ultima analisi, credo che quel messaggio genuino che si volle lanciare con l'abolizione della divisa e la rivoluzione dei costumi vada tutelato. Perchè si tratta in fondo, del rovescio positivo dell'idea di comunità e di uguaglianza gentiliana, l'uguaglianza dei diritti e delle persone che deriva proprio dal loro essere diverse. La presenza di "simboli" che codifichino un senso di appartenenza mi trova d'accordo, ma se affermiamo che sia necessario "concretizzare" l'uguaglianza in qualcosa che attiene così da vicino allo stile di vita di una persona, rimarremo sempre con qualcosa che rimane al di fuori di questa uguaglianza, perchè, al di là delle possibilità economiche, siamo diversi comunque. Se basta "parlare" per far venir fuori le differenze, io credo, quindi, che il problema vada risolto a partire dal linguaggio e dal confronto, puntando sulla formazione e la riqualificazione professionale dei docenti, che devono avere il compito, oltre che insegnare la loro materia, di trasmettere alcuni dei valori fondamentali della nostra Repubblica, l'accettazione e la valorizzazione delle differenze, il rispetto, con la R maiuscola, la solidarietà.

lunedì 12 dicembre 2011

Presentazione di "No alle bombe sul diritto allo studio"



Oggi alle 18.00 conduco l'evento che presenta la campagna "No alle bombe sul diritto allo studio", dove si parlerà della copertura totale dell borse di studio attraverso una riduzione delle spese militari. Info su www.giovanidivalore.it

domenica 11 dicembre 2011

ICI - CHIESA: occhio ai compromessi



Il dibattito sulla mancata introduzione della nuova ICI (IMU) agli immobili di proprietà ecclesiastica nella manovra ha determinato finalmente in maniera consistente presso l'opinione pubblica il sollevarsi della questione. Bisogna tuttavia chiarire alcuni punti, perchè in questi frangenti, specie dopo le aperture della Santa Sede, è necessario mantenere la lucidità per affrontare i problemi in maniera efficace ed evitare soluzioni affrettate che vizino ancora di più il dibattito.

Come hanno specificato i radicali, nessuno vuole far pagare l'ICI a parrocchie e caritas, bensì a quella serie di immobili molto difficile da quantificare, che sono adibiti ad usi differenti dal culto.
La posta in gioco sembra essere variabile. L'ufficio studi dell'Anci ha calcolato qualche anno fa un gettito potenziale di 400-700 milioni di euro. L'associazione ricerca e sviluppo sociale (Ares) si è spinta fino ai 2,2 miliardi.

Queste oscillazioni dipendono dalla legislazione vigente. Il Dlgs n. 504/1992 istituì l'ICI normando anche le esenzioni ed escludendo gli immobili degli enti no-profit adibiti tuttavia a finalità commerciali. La finanziaria del 2006 estese poi l'esenzione anche per gli usi commerciali (secondo Gov. Berlusconi), mentre Il decreto-legge 233/2006 del Gov. Prodi limitò in seguito l'esenzione agli immobili ad uso “non esclusivamente commerciale”.

Per tanto, con questa locuzione tristemente compromissoria, la questione divenne di lana caprina, motivo per il quale anche la UE ha aperto un'inchiesta. Se un pensionato per studenti, una villa, una casa o qualunque altro immobile contengono un piccolo altare o una cappella, possono dichiararsi luoghi adibiti al culto a fini, per l'appunto, “non esclusivamente commerciali”.
Tutto questo avviene, inoltre, tramite autocertificazione e sui controlli, rarissimi, andrebbe aperto un capito a sé stante.
Avvenire e la stampa vaticana stanno prontamente replicando che la Chiesa paga il dovuto. Tuttavia, con questa legge, pochi sono gli edifici esclusivamente adibiti ad uso commerciale. Il problema è individuare una zona grigia costituita da immobili di vario genere, pensionati, alberghi, pizzerie, istituti per studenti con camere che si affittano anche a lavoratori e famiglie. Moltissime di queste attività fanno concorrenza sleale ai privati, che non hanno ovviamente simili esenzioni.

Feltri, sul Giornale, replica che si colpirebbero attività che tappano i buchi del welfare pubblico. Pensare di avere bisogno della Chiesa perchè siamo incapaci di garantire un welfare decente, rispondo io, significa autodefinirci un Paese medievale.
Detto questo, ribadiamo, bisogna tutelare le attività realmente non a scopo di lucro, e attuare un programma straordinario di controlli per accertare come vengono realmente utilizzati gli edifici e capire dove effettivamente esiste business.

Ma bisogna stare molto attenti alle parole, perchè potrebbe essere molto facile dire “La chiesa paghi l'IMU per gli edifici non adibiti al culto”. In questo modo, la questione potrebbe essere scaricata tutta sull'aspetto catastale, amministrativo e burocratico, senza modificare la legislazione vigente; si tratta a grandi linee della strada che si prospetta dopo l'apertura di Bertone. Si dovrebbe, in tal caso, oltre a ricalcolare il numero degli immobili in disuso posseduto dalla Chiesa (a prescindere), determinare dove non vi sia traccia di attività religiose; cosa molto rara. E a quel punto avrebbe in parte ragione Avvenire, che si riferisce ovviamente a quelle poche attività a fini “esclusivamente” commerciali che pagavano la vecchia ICI.

Ciò che bisogna chiedere con chiarezza, invece, è che L'IMU la paghino TUTTI gli edifici che producono business, qualora avessero ANCHE attività di culto. Questo perchè sappiamo bene che di altari e cappelle se ne trovano davvero in gran numero.
Il paradigma va dunque rovesciato: se un edificio ha una qualche funzione ulteriore al CULTO, deve pagare l'imposta. Tra dire quindi: "l'esenzione va mantenuta solo per quegli edifici adibiti al culto" e dire "L'esenzione va mantenuta per quegli edifici adibiti SOLO al culto", c'è una bella differenza e, naturalmente, va considerata la seconda opzione.

Rosario Coco
Resp. Naz. Scuola Università e Cultura Giovani IDV.

lunedì 5 dicembre 2011

L'1,5 % di Monti








1,5%. Un numero che dice tutto. O, meglio, un numero che insieme ai numeri che non ci sono spiega tutto. Un numero che risponde agli interrogativi che ci ponevamo tre settimane fa, ma che conferma anche un dato oggettivo che non può essere negato: con Monti si è ricominciato, nel bene o nel male, a fare politica in Paese che è ormai diseducato a questa “strana prassi umana”. Non c'è più Berlusconi, non ci sono più i proclami, non ci sono più gli scandali, le toghe rosse, i comunisti e la stampa deviata. Non ci sono più quei ministri impresentabili che c'erano prima.
C'è, tuttavia, in quell'1,5% , l'amarezza del disincanto. C'è la consapevolezza che l'Italia continua ad essere ostaggio di quella politica che in questi anni l'ha ridotta in questo modo. Di chi, da entrambe le parti, con l'agire e con l'indugiare, ha permesso che gli interessi di pochi prevalessero su quelli dell'intero Paese, sperando di tirare a campare con le televisioni in mano e con le solite toppe del breve periodo. Adesso, nell'1,5% che Monti impone ai capitali rientrati con lo scudo fiscale, viene fuori tutta la rete perversa di interessi che attanaglia l'Italia, una rete fatta di persone che non hanno paura di un'Italia declassata e spedita in un futuro di povertà. Viene fuori anche quella cultura che da anni pervade sempre più la vita pubblica italiana, secondo la quale al di fuori della legge si guadagna sempre la via più facile. Esattamente quell'idea che abbiamo il dovere di combattere, se non vogliamo che anche misure risultino del tutto inefficaci per risollevare davvero il Paese. Inizialmente, ho avuto la rabbiosa sensazione di una vergognosa elemosina. Giusto per la cronaca, le Banca d’Italia ha recentemente pubblicato uno studio (Valeria Pellegrini ed Enrico Tosti dal titolo “Alla ricerca dei capitali perduti: una stima delle attività all’estero non dichiarate dagli italiani”, nel quale si calcola che i capitali italiani depositati illegalmente all’estero ammontano attualmente tra i 124 e i 194 miliardi di euro. L'intera manovra di Monti è di 30 miliardi lordi e l'aliquota iniziale dello scudo fiscale era quel misero 5%. Aggiungiamo poi che stiamo parlando di capitali trattenuti illegalmente all'estero da parte di grandi evasori che sono anche prevalentemente "grandi" mafiosi e che provvedimenti simili in Gran Bretagna e negli Stati Uniti avevano un tasso di circa il 50%. Una sensazione, quindi, che permane, anche se con il passare delle ore sopraggiunge la consapevolezza, amara, che effettivamente il governo Monti è prigioniero di questo Parlamento, di quel Berlusconi che ha detto “va avanti finchè vogliamo”, di quell'Alfano che si vanta del mancato intervento sull'IRPEF (ma non era più equo intervenire lì rispetto all'IVA?). Per dirla in maniera brutale, Per chi sta in parlamento, cioè quelli di prima, o si raggiungono gli obiettivi della UE “come diciamo noi”, e per altro con una faccia bella pulita come quella di Monti, o tanto vale che vada sempre peggio (unica eccezione, forse, le aziende di Berlusconi).
E allora, forse, il lato positivo di questa situazione è che si mostra finalmente senza veli quella politica che sta mettendo alle corde gli italiani, quella politica che fino ad ora era stata annacquata e rimandata a suon di proclami. Si manifestano realmente gli interessi di chi purtroppo ancora è ago della bilancia. Infine, se aggiungiamo anche i numeri che non ci sono, ovvero ciò che manca alla manovra, patrimoniale, ICI per la Chiesa cattolica, taglio spese militari, taglio delle grandi opere (TAV Genova-Milano), accordi bilaterali con paradisi fiscali, giusto per dirne qualcuna, allora il quadro degli interessi che il prossimo centrosinistra sarà NECESSARIAMENTE chiamato a SMANTELLARE risulta chiaro. Risulta chiaro come la luce del sole dove si debba cambiare registro, di cosa si debba parlare, cosa bisogna scrivere nei programmi. Lo diciamo anche a Bersani, che era compiaciuto di questo 1,5%.



Rosario Coco
Resp. Naz. Scuola, Università e Cultura Giovani IDV

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