mercoledì 25 settembre 2013

ITALIA VENDESI









Non sono mai stato un esperto di telecomunicazioni e di diritto amministrativo, ma di certe cose bisogna informarsi e parlarne, perchè sopra le nostre teste si stanno consumando dei disastri incalcolabili. Diciamola tutta su Telecom: fin quando l'Europa tra anni '80 e '90 ci chiedeva di limitare i salvataggi di stato e di promuovere la concorrenza era un conto. Noi con Andreatta ed altri abbiamo barattato la razionalizzazione e la trasparenza che ci venivano chieste con una liquidazione generale e orizzontale, spalmando la riduzione dei debiti senza distinzione per rientrare nei parametri di Maastricht, che già erano sbagliati in sè. Dal "ripianare i debiti" si è arrivati alla liquidazione dell'IRI e alla privatizzazione di Telecom nel 1997, con D'Alema, con in peggiori criteri possibili e sopratutto, errore di fondo, privatizzando un'azienda che ha un MONOPOLIO DI FATTO. Tutto questo per ENTRARE NELL'EURO ALLE CONDIZIONI DEGLI ALTRI, di trattati che non rispettavano le caratteristiche della nostra economia e che avevano l'obiettivo di ridimensionare l'Italia come concorrente.

Adesso i privati che l'avevano acquistata, i nostri grandi capitalisti italiani che controllano società enormi con quattro soldi grazie al sistema delle scatole cinesi (holding), la cedono agli spagnoli, che hanno acquistato la quota di controllo di Telco, la holding che gestisce Telecom. Ordinaria amministrazione del fallimento italiano. (Si veda il rapporto della Corte dei Conti sulle privatizzazioni delle società pubbliche, 2010) Adesso nessuno, dicesi, nessuno, investirà più sul nostro sistema di telecomunicazioni, la banda larga, internet, la telefonia fissa per intenderci. Di più, telecom controlla informazioni riservate, intercettazioni e servizi indispensabili per la sicurezza. A quando qualcuno che ammetta gli errori e parli di politica industriale? A quanto qualcuno che si renda conto che le privatizzazioni hanno inciso sostanzialmente in maniera NULLA sull'andamento del nostro debito pubblico, che 

Speciale del Fatto Quotidiano 

martedì 24 settembre 2013

L'EURO E LA DESTRA CHE DIVENTA KEYNESIANA













Il centrodestra si attrezza e supera a sinistra. E' ormai un dato di fatto. Ecco perchè. 
Ieri ho assistito al convegno organizzato alla Link Campus University dal gruppo Asimmetrie, in cui si è presentato il "Manifesto di Solidarietà Europea" promosso tra gli altri dagli economisti Bagnai, Rinaldi, Borghi. Presenti anche Giuseppe Guarino, oltre a numerosi profili internazionali anch'essi firmatari del documento, tra cui  Olaf Henkel, ex presidente degli industriali tedeschi, Kawalec, viceministro delle finanze polacco.
Tra i politici nostrani, invitati La Malfa, Alemanno, insieme all'ex più volte ministro e sottosegretario Scotti, presidente della Link Campus. 

Il presupposto è chiaro: l'euro ha oggettivamente fallito e la lettura che viene fatto è quella di un grave errore politico ed economico che rischia di vanificare tutte le conquiste dell'integrazione europea fino al 1992, come il mercato unico. Superare l'euro per salvare l'europa, quindi, una lettura ben diversa dal nazionalismo estremista ed euroscettico che già conoscevamo. Le analisi si susseguono impietose: la moneta unica non è capace, per diversi motivi, di venir incontro alle esigenze di economie e culture fiscali differenti, oltre a togliere il  potere ai singoli stati di perseguire le proprie politiche monetarie. Henkel ammette: "nel 1998 incontrai Prodi, Amato e Ciampi e mi feci convincere che l'Italia era "pronta" per l'euro. ho sbagliato. Ma in Germania hanno voluto l'Italia nell'euro solo per ridimensionare un concorrente economico nelle esportazioni, che all'epoca era molto competitivo".












Insomma, questo euro fatto a misura teutonica, una sorta di garanzia posta alla temuta unificazione tedesca del 1990, ha sortito l'effetto opposto di favorire l'economia più forte del continente a discapito delle altre. E' sotto gli occhi di tutti, l'andamento della produzione e delle esportazioni italiane dall'introduzione dell'euro, ma come dimostrato dai grafici, anche la Francia ne ha risentito. 
Nel manifesto le parole d'ordine sono possibilità di svalutare, crescita e competitività. 
Non c'era certamente bisogno di questa iniziativa per sapere che il castello eurozona è fatto di carta, con una banca indipendente nelle mani di gruppi finanziari privati che non risponde a logiche politiche. Per non parlare dei parametri imposti da Maastricht e recentemente nel Fiscal Compact. Il tutto aspettando la follia ESM. 

Quello che manca nell'analisi sono occupazione e welfare: la crescita non implica necessariamente l'aumento dell'occupazione e la tenuta dello stato sociale. Che certamente ci troviamo a destra lo conferma anche l'analisi di Borghi sull'evasione. L'evasione non incide sul debito pubblico nè può rendere, se combattuta, il nostro Paese più ricco. Le entrate in tasse secondo Borghi sono le più alte d'Europa, quindi il problema è "solamente" la redistribuzione della ricchezza e del carico fiscale all'interno del Paese. Analisi corretta per quanto concerne il debito, ma, a dispetto del "solamente",  si passa alla leggere proprio su quello che riguarda welfare e stato sociale; è inoltre fondamentale il fatto che una distribuzione iniqua della ricchezza provocata da un'evasione alle stelle è uno dei fattori che colpiscono la competitività del Paese e la concorrenza interna, condannando le imprese oneste. 
La proposta del manifesto, quindi, è quella di un'uscita coordinata dei Paesi più forti dell'area euro, mantenendo quindi la valuta per i Paesi meno competitivi. 

Come dice Brancaccio, dall'euro siamo già fuori, bisogna capire come uscirne. Tutelare i salari ed evitare le fughe di capitali o preoccuparsi solo del panico bancario e della competitività? Sono aspetti che si completano a vicenda ma che rappresentano anche i nuovi capisaldi su cui si confronteranno destra e sinistra nei prossimi anni. La destra sembra aver guadagnato il presupposto di fondo per cui lo Stato deve sostenere l'economia attraverso le politiche monetarie: più volte si cita Keynes contro il sistema economico dei trattati, definito ormai un prodotto cristallizzato del neoliberismo, qualcosa che è diventato un problema prepolitico. Il punto è quali interventi? 

Di fronte a tutto questo, dal PD sentiamo ancora la favoletta del più Europa, più solidarietà. Possibilmente anche con la proposta dell'elezione diretta della commissione europea, qualcosa che rischierebbe solo di legittimare una sorta di monarchia intergovernativa, se non si interviene sull'intera struttura. Il mondo alla rovescia insomma, la sinistra che difende una struttura che il centrodestra definisce neoliberista. E' che lo è nei fatti. Invece di chiedersi, ad esempio, com'è possibile che anche in Germania, il Paese a misura di moneta unica, un partito contro l'euro come AFD prenda quasi il  5% all'esordio, Repubblica osanna la "vittoria europeista" della Merkel. L'impero colpisce ancora. A quando una riflessione seria? A quando ammettere i proprio errori? Fino ad ora soltanto la sinistra estrema di Rizzo e il Movimento139 stanno lavorando su questo campo. il M5S è certamente più sensibile e più avanti sul tema, anche se manca una posizione uniforme ed approfondita. 

E' chiaro che il centrodestra è responsabile tanto quanto il centrosinistra del mondo in cui sono state condotte le trattative per l'euro e per i vari trattati. Ma rendersene conto è certamente un merito, oltre al fatto che la riflessione "euroscettica", viene fatta un questo caso per salvare l'integrazione europea. Un europeismo senza euro dunque.
E' evidente che non basta più dire neanche "rinegoziamo il fiscal compact", un trattato figlio di una precisa impostazione che gira attorno all'idea sbagliata di una moneta indipendente, non sovrana, costruita su parametri economici parziali. Era quello che provavo personalmente a dire già nel mio programma per le regionali del 2013, al terzo punto.  Senza una seria riflessione e una proposta altrettanto concreta in merito alla questione euro si rischia davvero una debacle incalcolabile nei prossimi anni, lasciando alla destra la verità dei fatti economici. Troppe domande vengono in mente. A chi risponde questo centrosinistra? a quali interessi? l'unica strategia è svendere Alitalia, Finmeccanica e, da ultimo, Telecom?

sabato 14 settembre 2013

QUEL MOSTRO DI TEORIA DEL GENDER CHE DISTRUGGERA' IL MONDO
















Signore e signori, le leve del fanatismo si aggiornano. E quindi, dopo essersi fatti qualche grassa risata, è giusto rispondere serenamente con qualche considerazione. Dopo la sparizione dalla legge anti omofobia di "orientamento sessuale" e "identità di genere" con buona complicità di chi la legge l'aveva promossa,  ecco comparire puntuali i convegni contro la nozione di gender, pericolo per l'umanità. 

La teoria del gender, o, più correttamente, gli studi di genere, è un insieme di studi che riguardano trasversalmente sessuologia, antropologia, sociologia, filosofia, nati da un'idea di fondo: non c'è un solo modo, naturale, di essere uomo e di essere donna. Ciascuno lo è in modo diverso, a seconda della propria personalità e del contesto sociale in cui si trova. Questo è il minimo comune denominatore, un'idea nata dal femminismo degli anni '60 e '70 e dal nascente movimento di liberazione omosessuale, che serviva all'epoca a scardinare la subalternità uomo-donna, intaccando il presunto fondamento naturale di quest'ultima. 

Da allora si sono susseguiti diversi filoni di pensiero, che hanno approfondito in diverse direzioni di pensiero il nucleo iniziale. L'idea che il "maschile" e il "femminile" siano concetti socialmente e culturalmente determinati e siano cosa differente dal sesso biologico di partenza è ormai acquisita dai trattati internazionali sui diritti umani. Basti vedere la definizione di "genere" della Convenzione di Istambul, (art. 3) per cui:

con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini;

Dagli studi di genere deriva il concetto di identità di genere, che il modo in cui il singolo si percepisce più o meno vicino ad un determinato genere, socialmente determinato, anche non corrispondente al sesso biologico. Il modo in cui il soggetto manifesta socialmente la propria identità di genere è definito ruolo di genere, due aspetti direttamente connessi. 

L'antropologia da qui un contributo prezioso: vi sono società dove le donne svolgono determinate mansioni e compiti che in altre realtà sono svolte dagli uomini. Storicamente, nelle società matriarcali le donne avevano funzioni che appaiono impensabili nel mondo antico. 

L'errore più comune è pensare che il concetto di identità di genere sia una sorta di "potenziamento" o "degenerazione" di "orientamento sessuale" (cosa differente), oppure che riguardi solo le persone transgender e transessuali.

Così come tutti hanno un proprio orientamento sessuale, tutti hanno la propria identità di genere: si tratta semplicemente di un modo nuovo di intendere un aspetto universale della personalità umana, per cui l'orientamento sessuale e l'identità di genere si aggiungono al sesso biologico. 

Qualcuno pensa che questa teoria voglia distruggere le differenze uomo-donna, "omosessualizzare" la popolazione mondiale, scardinare la famiglia tradizionale. E' curioso che istituzioni formate da soli maschi e che professano la castità pretendano di difendere e pontificare su qualcosa che non conoscono. 

Gli studi di genere non hanno l'obiettivo di cancellare un bel niente, bensì sono finalizzati a far emergere tutte le sfumature della personalità umana rimaste finora invisibili. E' cosi che sono stati coniati numerosi neologismi  che individuano una molteplicità di identità di genere.

E' proprio questa la chiave: al di là delle nuove terminologie, delle sigle e delle etichette, quello che viene fuori dagli studi di genere è una rivoluzione copernicana delle relazioni umane, per cui al centro non c'è più l'idea granitica di due generi universalmente e naturalmente determinati e, di conseguenza, un solo orientamento sessuale, bensì al contrario due aspetti plurali e poliedrici come l'orientamento sessuale e l'identità di genere, fatti di molteplici sfumature, in cui la stessa eterosessualità viene ricompresa come un elemento determinante e connessa in modo diverso con gli altri aspetti. 

Esistono, diversi livelli di bisessualità, per cui tantissimi eterosessuali hanno anche esperienze omo e viceversa, per limitarci al campo delle sfumature di orientamento sessuale. Passando invece agli aspetti dell'identità di genere, esistono uomini eterosessuali con dei caratteri di genere evidentemente femminili, stando a determinati  parametri sociali. Ugualmente per le donne. Esistono omosessuali assolutamente "maschili" e virili o lesbiche del tutto "femminili". E viceversa per entrambi. Ancora di più, le combinazioni sono molteplici perchè la corrispondenza che si potrebbe immaginare tra l'apparente mascolinità e femminilità e il ruolo sessuale è solo un luogo comune. Andando oltre, esistono persone che possiedono alcuni  caratteri del genere opposto al proprio sesso (modo di vestire, comportamenti, ruolo) senza però identificarsi pienamente in quel genere (androgino, bigender, intergender,). Esistono persone che hanno invece dei caratteri biologici particolari, come la sovrapposizioni di caratteri sessuali primari e secondari di entrambi i sessi, gli intersessuati, i quali tuttavia spesso non procedono ad alcuna riassegnazione del sesso come in invece avviene per le presone transessuali. Infine, ed è il tratto che più sconvolge la tradizione, c'è chi si percepisce come appartenente al genere opposto, tuttavia non ritiene necessario procedere alla riassegnazione del sesso biologico. "Le" e rispettivamente "I" transgender. 

Parentesi. Per comprendere la violenta propaganda integralista è necessario ricordare che c'è un elemento di fondo che da più fastidio ad una certa cultura, ancor più dell'omosessualità e del transgenderismo: è l'idea della libertà sessuale. Comprendere le differenze delle persone significa dare peso e valore alla loro vita sessuale. Questo disturba chi sui concetti di colpa e peccato, nonchè sulla repressione della personalità, ha costruito secoli di consenso. 

In poche parole, non ci saranno più gay o lesbiche e transgender con la diffusione degli studi di genere: avremo semplicemente uno strumento migliore per comprendere quello che già c'è, un pò come i vari modelli della fisica hanno sempre  riabbracciato e rispiegato da un ottica più ampia i fenomeni dei modelli precedenti, riuscendo a spiegare anche quelli nuovi. 



lunedì 9 settembre 2013

IL PDL DEL PREGIUDICATO CHE BOLLA INCOSTITUZIONALE LA LEGGE ANTIOMOFOBIA
















L'Italia è davvero strana. Un partito guidato da un pregiudicato, pluriprocessato e condannato in via definitiva, per il quale ormai tutto il mondo ci ride dietro, bolla di incostituzionalità una legge di civiltà come quella contro l'omofobia. Crisi di Governo permettendo, mercoledì si dovrebbe finalmente votare la legge alla camera. Ci sono ben tre pregiudiziali di costituzionalità presentate da PDL, LEGA e FRATELLI D'ITALIA. Dalle indiscrezioni sembra che le pregiudiziali non abbiamo i numeri per passare, poichè domani mattina dovrebbe spuntare un emendamento risolutore battezzato da Arcigay come "Salvavescovi", che rischia di coronare lo smantellamento progressivo del testo, legittimando tutte quelle dichiarazione offensive e lesive della dignità delle persone lgbt, come "i gay sono malati e vanno curati". E' proprio questo genere di attacchi che vanno sanzionati infatti, non certo l'opinione di chi ritiene "giusto" il matrimonio tra uomo e donna. La differenza tra opinioni e attacchi è chiara ad ogni giudice. Insomma si rischia un "effetto legge 40", ovvero di un provvedimento che restringe il campo dei diritti anzichè garantirli, consentendo condotte repressive.

E non è finita qui. Le pregiudiziali sono interessanti per capire quali difficoltà potrebbe avere la legge se dovesse superare lo scoglio della Camera e anche del Senato, dopo aver subito una decostruzione indecente per la quale vi rimando all'analisi che che ho elaborato per Gaynet  Purtroppo, l'appiglio più comodo per i detrattori della legge è quello dell'art. 25 della Costituzione, il principio di tassatività dell'azione penale. Le parole omofobia e transfobia non sarebbero abbastanza precise da individuare una fattispecie di reati tale da estendere le sanzioni previste dalla Mancino. Sappiamo quanto sia strumentale questa argomentazione, tuttavia, purtroppo, tecnicamente un giudice costituzionale avrebbe ragione nel bollare questa legge come scritta sostanzialmente con i piedi.

E' possibile fare una legge contro l'omofobia e la transfobia senza spigare cosa siano buttando per caso lì le parole nel testo? Questo problema potrebbe vanificare anche un'eventuale conquista dell'aggravante speciale, momentaneamente tolta dal testo in esame e quindi per ora limitata ad i soli reati a sfondo razziale, etnico, religioso. Il PDL, in particolare, parte da questo appiglio per tirar fuori almeno una decina di articoli della Costituzione, tra cui persino l'articolo 33, poichè questa legge vieta ai maestri di insegnare che i gay sono da curare. Puoi mai essere libertà di opinione insegnare a qualcuno che è condannato a soffrire e a reprimersi? è come riprendere ad insegnare alle scuole elementari che le donne non sono fatte per votare o proseguire gli studi.

Tuttavia, chi ha voluto sostituire le espressioni originare di orientamento sessuale e identità di genere e
le relative definizioni, con omofobia e transfobia? quel PD alla ricerca ossessiva dell'accordo con il PDL, compiendo l'enorme scorrettezza di far firmare la legge a M5S  e SEL portandola poi avanti con la destra, che non l'aveva mai firmata o sostenuta.
Insomma, siamo di fronte ad una strada totalmente in salita, una situazione di cui il PD e chi si genuflette ossessivamente alle larghe intese e al Vaticano dovrà rendere conto e ragione.

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